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Lui sì che era un dritto! Il celerifero

celerifero

Lui sì che era un dritto! Il celerifero.... Le origini della bicicletta, nata in Francia alla fine del settecento, ma con un piccolo, piccolissimo inconveniente …… sapete qual era?

In Francia, durante il periodo tumultuoso della Rivoluzione, nel 1791, un nobile eccentrico che di nome faceva conte Mede de Sivrac, trova il tempo di progettare e costruire un marchingegno che battezzerà celerifero.

Il marchingegno è fatto tutto di legno, composto di assicelle che collegano due ruote, anch'esse in legno; non ha il manubrio e nemmeno i pedali. Si usa montandoci sopra a cavalcioni e spingendosi con i piedi che toccano terra ( tipo la primabici dei bambini di adesso, avete presente??!);  per fare le curve, però, occorre scendere e spostare il celerifero. Il conte, infatti, non aveva inventato il manubrio e la serie sterzo!

Certo tutto si poteva dire tranne che il celerifero non andasse dritto!!!

Diversi anni dopo il barone tedesco Drais aggiunge al celerifero un manubrio e con un colpo di genio riesce a far sterzare la ruota davanti, permettendo così di affrontare le curve senza dover scendere dal mezzo. Questo mezzo di trasporto prende il nome dal suo inventore e si chiama draisina. Fu solo nel 1839, tuttavia, che un fabbro scozzese Kilpatrick Mac Millan (notate come quasi tutta l’Europa collaborò singolarmente alla nascita di questo mezzo) applicò una rozza pedaliera riservata a chi si metteva per strada. Fu quello l’anno in cui si cominciò a pedalare.

Passarono altri 30 anni, e, all’Expò di Parigi nel 1867, apparve un’ autentica macchina viaggiante perfezionata da un francese, Ernest Michaux, e chiamata “agitatore di ossa”. E serviva proprio allo scopo, nonostante presentasse notevoli difficoltà a salire, a scendere e ovviamente a fermarsi. In fondo, però, in quell’epoca erano pochi i pericoli che le strade riservavano agli utenti! L’enorme ruota anteriore , montata con rapporto diretto ai pedali, senza dubbio obbligava a fare dei bei muscoli: questa macchina viaggiante era pressoché impossibile da usare in salita, e decisamente spaventoso servirsene in discesa, visto che non aveva freni e se uno voleva fermarsi in piena corsa doveva gettarsi dall’alto del trespolo a testa in giù sulla strada. Nonostante questi modesti ( ?!!) inconvenienti,  nacquero ugualmente i primi club di innamorati del velocipede, e anche la bicicletta scoprì i suoi primi sostenitori, innamorati che in un certo senso anticiparono il turismo di massa odierno (quello dello zaino in spalla e via..per intenderci!) .

Intanto il velocipede si perfezionava e nel 1885 raggiunse quasi la forma finale: catena, sella, manubrio, ruote e freni. Fu l'epoca fatale della 'Rover bycicle', prodotta in Inghilterra e destinata a 'sconvolgere il mercato'. In effetti era quasi una bicicletta; e mandò in rovina molti degli altri fantasiosi inventori con le loro macchine incredibili. Solo negli USA nel 1893 si producevano 1 milione di biciclette all'anno in 312 fabbriche, con il nuovo sistema detto della 'catena di montaggio' sperimentato per la prima volta con successo.

Ciò che portò la bicicletta alla ribalta dell'attenzione nazionale in Italia fu la guerra del ’15-’18. Senza freni, con le gomme piene ma smontabile, cosi da poterla caricare in spalla, fu il simbolo dei bersaglieri, truppe 'veloci' in una battaglia che ignorava ancora il lampo di sterminio dell'arma atomica. In fondo, in quell'epoca, si partiva per la guerra cantando, chissà se per autentico entusiasmo o per semplice ignoranza; e la bicicletta si inseriva perfettamente in questo clima. In un certo senso poteva perfino identificarsi con la continuazione di una lunga gita domenicale. Solo che la gita fu davvero molto lunga....

Cosi inserita nella storia, la bicicletta vi rimase: servì per la marcia su Roma (Mussolini, tuttavia, viaggiò in vagone letto) servì ai gerarchi scampati dal salto nel cerchio di fuoco per portarla a spalla: dopo tutto erano i tempi in cui il fascista non amava ‘la vita comoda', o almeno cosi sosteneva il regime. E servì soprattutto in momenti peggiori, quando il cupo rombo della seconda guerra mondiale distrusse tutto.

Dal primo velocipede senza pedali è passato più di un secolo in cui questo mezzo 'povero' da trasporto ha vissuto più di una epopea. La bicicletta è di nuovo usata in funzione pratica, non è nè sport nè svago, è solo un mezzo per vivere e sperare. Sport tornerà ad esserlo presto ( come si era prestata ad esserlo, in fondo, all’inizio, quando si correva in triciclo) : nel 1909 arriva il primo Giro d’Italia e la partenza del 'Tour' avveniva sì dall'Arco di Trionfo ma sembrava ancora una tranquilla scampagnata collettiva verso la Loira. Il 'divismo del pedale’ venne più tardi, con Alfredo Binda (112 vittorie), con Girardengo (126 vittorie) ed infine con Guerra, che i giornali dell'epoca ribattezzarono 'locomotiva umana’. Guerra aveva anche l’aspetto del 'divo', forse se fosse stato giovane oggi avrebbe fatto del cinema. Nel 1942, altri tempi, si permise di vincere un campionato d’ Italia a 40 anni suonati.

E sempre in tema di campioni, ecco i grandissimi: Bartali, toscanamente iroso anche contro chi lo applaudiva. E il 'campionissimo' per antonomasia, Fausto Coppi, autentico divo di un'epoca in cui la bicicletta con lui raggiunse il vertice massimo della popolarità e dopo di lui si avviò a una inesorabile decadenza.

Fotografie come quelle di Coppi e Bartali, scattate sulle faticose cime dei valichi o sull’immaginario filo dei traguardi, sono parte integrante della nostra storia e del periodo in cui si viveva; sono l'emblema di ciò che era il momento e l'aspetto della vita nazionale, irripetibili come la fine di un'epoca.

Mezzo 'povero’, s’è detto: e infatti la diffusione della bicicletta è inversamente proporzionale al grado di benessere di chi la usa. Soppiantata dall’automobile in Occidente, ecco che si rifà in Oriente, dove torna ad essere il ‘cavallo dei poveri'.

In un modo o nell’altro, quale che sia il destino che sceglieremo per noi stessi, una cosa è certa: la bicicletta ha creato un mondo, ha passato i secoli, ha conosciuto epoche dure, guerre e disagi, ma ha mantenuto inalterata la sua nobile funzione, che è quella di unire e di far socializzare; il mezzo “povero” è ricchissimo di energia e di vitalità, capace di rimanere umile anche se sofisticato nei modelli attuali più innovativi e performanti, ancora innocente e pratico, utile e sempre con una meravigliosa caratteristica che è uguale per tutti: ha sempre due ruote che per essere mosse hanno bisogno della forza dei nostri muscoli.

(notizie storiche liberamente interpretate e tratte dal sito www.federazioneciclisticaitaliana.it)

Ultima modifica ilGiovedì, 10 Luglio 2014 14:51